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Vigevano

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I Tesori nascosti dell'Archivio

“Du donn i fan marcà, tre piàntan ‘na fiera”

Molte sono le fiere nate nel corso dei secoli che ancora oggi perdurano nella tradizione di diverse città. Giorni di festa e di divertimento arrivati fino a noi, quasi fossero un documento storico “vivente” in cui è possibile leggere l’eco di costumi e decisioni del passato.

Vi è una distinzione precisa però tra mercati settimanali e fiere. Un vecchio proverbio dialettale la spiega con una allegoria popolare: “Du donn i fan marcà, tre piàntan ‘na fiera”.

In generale il mercato, fin dagli albori della civiltà, ha riempito il vuoto di una esigenza sociale, ovvero la necessità di scambiare merci, tradizione che ancora nel 1300 si ritrova nell’antica “nundine” mercatale, formata da sette giorni di lavoro e due di riposo dedicati agli scambi commerciali e agli affari.

Che fossero fiere o mercati per una comunità era importante richiedere il permesso di indire una attività commerciale di questo tipo alle proprie autorità, non solo perchè la coincidenza con le festività religiose richiedeva decisioni di ordine pubblico, ma anche per ottenere la maggior partecipazione di commercianti e artigiani che finivano per avere dal governo cittadino una regolamentazione più favorevole ai loro esercizi.

Secondo un articolo degli antichi statuti vigevanesi, il mercato si tiene infatti in “platea publica” e vi possono accedere, con esenzione di pedaggi per l’ingresso, individui di ogni condizione e provenienza. Di una “platea publica” di Vigevano vi è già traccia in un documento del 1200, con un riferimento ad uno spazio ai piedi del castello, dove vengono svolte le attività commerciali della comunità, zona destinata grazie all’intervento di Ludovico il Moro a diventare la nostra Piazza Ducale.

Le tipologie di mercanzie ammesse al pubblico mercato sono varie: dalla vendita del bestiame a un angolo destinato persino allo smercio del pesce. Anzi gli Statuti prevedono espressamente l’obbligo dei pescatori di portare tutto il pescato della giornata, con sanzioni pecuniarie di venti soldi terzioli per chi non obbedisse.

Nel 1381 Bianca di Savoia, madre di Gian Galeazzo Visconti diviene signora di Vigevano. Su sua ispirazione una lettera patente dell’illustre figlio concede alla città il mercato del lunedì e stabilisce che chiunque è il benvenuto con le proprie merci, dal mezzogiorno della domenica precedente fino alle tre del pomeriggio del martedì, ovviamente, purchè non sia bandito o condannato a pene corporali o pecuniarie.

Nel 1532 però la città di Vigevano richiede al principe Francesco II Sforza, Duca di Milano, di concedere alla comunità ben tre fiere annue. Una “all’ottava di Pasqua” (la domenica pasquale e la settimana che la segue), una con inizio nella festa di S.Ambrogio (il 7 dicembre, patrono di Milano e di Vigevano) e l’altra a S. Maddalena (il 22 luglio). Tutte di 8 giorni ciascuna “cadauna con franchigia del dazio d’entrata”.

Il Duca quindi acconsente in parte concedendo solo due fiere annue, una a Pasqua e l’altra a S.Ambrogio con dazi all’entrata e altri privilegi.

Il Duca però cambierà presto idea e il documento su cui vorremmo concentrarci qualche istante di più è la lettera patente originale in pergamena, conservata nei nostri archivi, datata 1533 che riporta la concessione da parte di Francesco II, di tenere le tre sospirate fiere annue, stavolta di dieci giorni ciascuna, nei giorni della festa di S’Ambrogio, il 10 marzo e il 20 agosto. 

La pergamena di Francesco II presenta anche una lunga e dettagliata lista dei privilegi e dei rigidi dazi che i commercianti avevano da rispettare, come ad esempio per il pellame o drappi di lana che si portavano da luoghi oltremontani e dal Piemonte, facenti scalo a Breme verso il Po, dovevano pagare dazio d’uscita dalla zona del novarese e non il pavese, ma nel caso avessero toccato il territorio pavese all’uscita della nostra città, sarebbero stati costretti a pagare anche il dazio pavese.

Sarà poi Carlo V nel 1543 con diploma imperiale a confermarle “con tutti i privilegi e le franchigie di cui godono le più favorite fiere del Ducato di Milano”.

Grazie anche a queste fiere e ai relativi privilegi i mercati di Vigevano cominciano ad assumere un ruolo centrale nell’economia del circondario e non solo, dato che vi sono testimonianze di merci provenienti anche da località abbastanza lontane. Vigevano si veste di un ruolo importante che la città difende duramente opponendosi anche alla creazione di altre fiere o mercati nei borghi limitrofi come Garlasco o Robbio.

Nel frattempo il mercato sulla Gran Piazza di Vigevano si allarga sempre di più arrivando a toccare anche la “piazza piccola”, nei pressi delle contrade Mercanti e Beccherie, oggi via Caduti Liberazione e via Giorgio Silva.

Varie sono le tipologie delle mercanzie segnate sui registri d’entrata, come ad esempio l’olio “traghettato” dai mulattieri genovesi fino alla pianura e introdotto nel borgo da mercanti vigevanesi. Il sapone giunge “dalla Porta di Gambolò”, il sale da Pavia sulle barche del Ticino, ma troviamo anche prodotti rivenduti da “bigolotti vagabondi” come acciughe, aceto fabbricato in Monferrato e canne per far spole.

Furono critici per la città gli anni della peste, bloccando innanzitutto lo scambio delle merci, le fiere e i mercati e a partire dal 1599 viene negato a chiunque la possibilità di partecipare a fiere e mercati, fino a tempo indeterminato, causa il propagarsi delle pestilenze.

Ma la città supera indenne la peste e pone grande attenzione nei contatti con altre città e nella partecipazione ai mercati, inviando in tempo scrupolosi ispettori per cautelarsi da pericolose situazioni.

Testi consultati per la stesura di questo articolo (consultabili presso la nostra struttura)
B. Rocco Capè, Mercati, fiere e … dintorni-storie di Vigevanopatrocinio della Società Storica Vigevanese, 2000
AA VV con cenni storici a cura di P. L Muggiati, Da borgo a città – Vigevano 1227 – 1535 , Mostra documentaria a cura del Comune di Vigevano, 1988

Rubrica curata dall’Archivio Storico di Vigevano

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