CANOVA
Regia di Francesco Invernizzi. Un film Titolo originale: Canova. Genere Documentario, Biografico
Ci sono dei luoghi comuni, dei “must”, che vengono utilizzati per sintetizzare dei concetti, dei gusti, o delle narrazioni. In un certo ambito culturale, non per forza ricercatissimo o raffinato, per indicare qualcosa di classico, di bianco, di quieto nella rappresentazione si può dire: sembra un Canova. Non è cosa comune con un nome racchiudere tanti ideali estetici. Ma con lo scultore veneto questo accade. Antonio Canova (1757/1822) rappresenta l’apoteosi della messa in scena plastica. La Paolina Bonaparte (1804/1808) posta nella sala centrale di Villa Borghese – luogo per cui la scultura, ritratto della nota borghese, era stata pensata e da cui non si è mai mossa – è il primo passaggio verso cui il pubblico si dirige.
Sembra che i visitatori vadano prima “da” Canova per poi passare al Bernini, testimonia Mario Guderzo, direttore del Museo e Gipsoteca Antonio Canova di Possagno, il paese di nascita dello scultore.
Però questa attenzione all’antichità lo schivo Canova l’ha un po’ pagata: nei salotti culturali, nelle case dei collezionisti e dei nobili che lo invitavano a scolpire opere per le loro proprietà, lo scultore veniva infatti attaccato, a volte deriso, perché lavorava su temi del passato, riportandone anche lo stile.
Ma lo scultore non copiava i grandi modelli: li imparava, analizzava, assorbiva, per poi ricrearli a modo suo, con l’utilizzo di martello e scalpello da cui mai si è staccato, per tutto il corso della sua lunga vita. Due strumenti di lavoro che già utilizzava nella bottega del nonno scalpellino e con cui ha viaggiato per l’Italia con, si dice, il suo cappello di carta in testa. Da Venezia, città che aveva vissuto sugli allori con grandi maestri come Tiziano, Tintoretto e Canaletto, che stava però decadendo dai punti di vista politico, sociale e culturale, a Roma e poi Napoli, fino a giungere a Londra, alla corte di Giorgio VI che gli commissionò la scultura – pezzo unico, che Canova non ha mai più replicato per richiesta del sovrano inglese – Marte e Venere (1817/1819), dopo il successo ottenuto con la composizione di Adone e Venere (1789/1794).
Francesco Invernizzi mette in scena un altro racconto su un personaggio culturalmente mitico quale è stato Canova. Un simbolo proprio come quei soggetti, i miti classici appunto, che l’artista si faceva leggere in studio mentre scolpiva il gesso, per poi riattivarlo in prezioso marmo, focalizzandosi principalmente sull’estetica e lo stile, che dovevano essere perfetti. Le mitologie erano storie da “mandare in corpo”, diceva lo scultore per spiegare la mediazione con i grandi classici, da riscoprire e ritrattare. Imitare gli antichi per diventare grandi.