Presentando la mostra “Guerra e Pace” ci preme sottolineare nuovamente che la finalità di un museo diocesano come il nostro, non è quello di sottoporre ai visitatori un’opera importante o il nome di un artista di grande fama che attirano il pubblico più per curiosità o per un mero fattore estetico, prendendo il sopravvento su ogni altra considerazione. Il nostro scopo è riportare l’attenzione sulla funzione pastorale del museo ecclesiastico, sui temi che di volta in volta scegliamo, per portare il visitatore ad una riflessione profonda sul contesto affrontato. Anche la scelta dei due artisti non è casuale, ma l’attenzione al territorio è anche diretta verso coloro che in questo territorio operano, producono e propongono cultura.
Con questa mostra abbiamo voluto evidenziare da un lato l’attrazione che la guerra ha sempre esercitato sugli uomini. Come il canto delle sirene, la guerra e le battaglie hanno sin dai tempi più antichi sedotto l’uomo con tutti i suoi accessori, spade, armature, fucili, aerei, carri ecc. sino a portarlo allo scontro e poi, necessariamente e realisticamente, alla presa di coscienza della distruzione e del male che esse avevano causato.
Stefano Chiodaroli si pone nella tradizione dei “battaglisti”, come venivano chiamati i pittori specialisti di argomento bellico, che si diffondono nel Sei-Settecento, fino all’esaltazione dell’eroismo individuale, cara al romanticismo. Ma già prima grandi artisti avevano sapientemente trattato la materia come Paolo Uccello nella Battaglia di san Romano, dove invece di una battaglia sembra di assistere ad un torneo, la Battaglia di Anghiari di Leonardo che noi conosciamo tramite l’interpretazione di Rubens. E’ però con La Battaglia di Isso di Albrecht Altdorfer che iniziano le grandi composizioni guerresche di gruppo, dove nell’esaltazione dello slancio degli eserciti pare quasi di udire i rumori dei carri, le urla, i nitriti.
Dall’altro lato la pace non è stata rappresentata con immagini didascaliche ma con gli scarti, con i relitti, con oggetti di recupero che per noi rappresentano il tentativo di ricostruzione dopo la distruzione. Recuperare lo scarto è un atto di solidarietà, di pietà verso ciò che non risponde al criterio di utilità e come dice Papa Francesco “non devono mai venire meno i doveri inderogabili della solidarietà e della fraternità umana e cristiana“. L’opera di Michele Protti rientra nel movimento artistico dell’Arte Povera. L’ “Arte Povera” è una corrente nata in Italia negli anni Sessanta del Novecento, e alla quale aderirono molti artisti destinati a diventare tra i più grandi e influenti del XX secolo, come Jannis Kounellis e Michelangelo Pistoletto. Il nome “Arte Povera” fa riferimento sia ai materiali che gli artisti del gruppo utilizzano, cartapesta, ferro di recupero, stracci, oggetti riciclati, legna, terra, plastica, sia, soprattutto, al fatto che il movimento intendeporsi in contrapposizione all’arte tradizionale ed elaborare un linguaggio, più vicino al sentire contemporaneo, in grado di ridurre all’essenziale l’arte, linguaggio non semplice ma sobrio.
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INAUGURAZIONE: Sabato 2 Aprile – ore 17.00