"Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti: non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori."
Franca Viola è la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore. Diventerà un simbolo per le battaglie civili e femminili. È anche grazie a lei se, nel 1981 viene abrogata la “rilevanza penale della causa d’onore” dell’articolo 544, in sostanza il “delitto d’onore” e il “matrimonio riparatore”. Vent'anni dopo quei fatti, solo trent'anni fa.
No. Storia di Franca Viola nasce dall'urgenza di raccontare questa storia – simbolica, contraddittoria, emblematicamente italiana – nella quale sono insite le riflessioni, le tragedie, le battaglie di generazioni di donne. Perché è una storia che parla ancora oggi. E perché quel NO di Franca Viola, con la sua resistenza silenziosa, ha cambiato la nostra società.
La storia vera
La storia è semplice. Siamo ad Alcamo, Sicilia. È il 1965. Filippo Melodia, rampollo della mafia locale, chiede a Franca Viola, diciassettenne figlia di un mezzadro, di sposarlo. La risposta è no. Filippo Melodia allora rapisce Franca, la violenta, e la riporta a casa disonorata. Per salvare Franca dal destino che spettava a coloro che erano state disonorate – povertà, solitudine, vergogna – Filippo si offre di sposarla. Un matrimonio riparatore per riscattare l'onore di Franca ed estinguere i reati di Filippo (tra gli altri, sequestro di persona e stupro). Così prevedeva l'articolo 544 del codice penale. Ma la risposta di Franca è ancora no. Un NO che farà la storia.
Lo spettacolo teatrale
In No. Storia di Franca Viola un'attrice, sola, si interroga su quale sia il modo migliore per raccontare la storia di "un simbolo". La narrazione procede spedita, giocando con i generi teatrali, gli stili interpretativi e i personaggi in una scena che evoca indistintamente il camerino di un'attrice o il luogo di un'azione di protesta, abitata da oggetti che sono il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne: scarpe rosse, ombrelli, maschere, megafoni; oggetti che trasportano la Storia nel teatro, e viceversa.
Sara Urban entra ed esce dalla finzione teatrale alla ricerca di un modo e di un significato, rivolgendosi a un pubblico che è interlocutore presente e partecipe, e che è invitato a indignarsi, e sorridere anche, per una vicenda emblematica ma ancora troppo sconosciuta, che viene affrontata da punti di vista differenti: si passa dalla cronaca, con citazioni dirette delle fonti storiche, alla rappresentazione drammatica, al teatro di rivista, alla manifestazione di protesta, all'apostrofe diretta.
Il tema della violenza, sottotesto costante di tutto lo spettacolo, è affrontato con cura speciale nei confronti della protagonista di questa storia, Franca, che ha scelto, per la sua vita, il silenzio: SU di lei, lo spettacolo dice molte parole, ma A lei e al suo dramma, sceglie di dedicare solo una breve lettera, e un canto, una ninnananna che curi le ferite. Le sue e quelle delle tante vittime della violenza di genere.